La marca è una cultura internamente coerente, caratterizzata da alcune ricorrenze interpretative che ne determinano l’identità. Se l’obiettivo della marca è la progressiva espansione, oggi non è più possibile pensarla attraverso la pubblicità tabellare. Quindi, le leve del branding si sono arricchite con gli strumenti del branded entertainment, che permettono di creare contenuti originali come le webserie. Attraverso questi contenuti i consumatori partecipano alla cultura di marca e la perpetrano con le loro azioni e interpretazioni.
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Indice dei contenuti
La marca
Il brand è «tutto ciò che un prodotto o servizio rappresenta per i consumatori» sottolineano Philip Kotler, Gary Armstrong e Fabio Ancarani in Principi di Marketing. La marca è un bene intangibile perché rappresenta «la risorsa più durevole dell’impresa, che vive più a lungo dei singoli prodotti e delle strutture». Infatti, scrivono che se tutte le risorse di McDonald’s andassero distrutte, l’impresa ci metterebbe un giorno ad ottenere il prestito necessario alla loro ricostituzione.
La marca è un discorso complesso e organico sul mondo che non si riduce alla somma degli oggetti brandizzati. Cioè, la marca è un modo di interpretare il mondo, una vera e propria cultura. E comeogni cultura, il brand si caratterizza alla luce di ricorrenze interpretative che ne determinano la distintività a livello di mercato. Un capo Gucci non può essere confuso con un capo di Dior.
Al di là degli enormi problemi (finanziari e non) che potrebbero insorgere qualora i vari brand non riuscissero a farsi riconoscere vicendevolmente – Gucci e Dior sono culture che interpretano il mondo in un modo originale, e lo presentano ai potenziali consumatori in quanto dotato di personalità specifica: la personalità della marca. Non a caso molti autori che hanno studiato le caratteristiche del brand l’hanno paragonato all’essere umano, soprattutto dal punto di vista della personalità che rende ognuno di noi unico e irripetibile.
La personalità del brand
Secondo Kotler et al. il brand è ciò che fa la differenza fra due prodotti con le stesse qualità e attributi. Infatti, gli orecchini di Gucci non potranno mai essere considerati “lo stesso oggetto” rispetto ad orecchini di altro marchio o “brandless”. Gli orecchini brandizzati e quelli non brandizzati sono diversi anche e soprattutto dal punto di vista della funzionalità. Il punto, infatti, non è semplicemente decorare il proprio aspetto, ma vivere in accordo allo stile di vita proposto dalla cultura di marca.
Indossare un capo brandizzato significa vivere all’interno del brand, interpretare il mondo in accordo alle sue valorizzazioni. Un individuo decide di convertirsi in consumatore proprio alla luce di questa originale prospettiva esistenziale.
In ultima istanza, il consumatore non lo è mai del prodotto “in sé” quanto piuttosto della marca, cioè di quell’orizzonte di senso che conferisce – tanto a sé quanto al prodotto – un’identità, un significato, un posizionamento unici.
Un mondo brandizzato
Se la marca è una cultura e se ogni cultura esiste perché può distinguersi dalle altre sulla base di certe ricorrenze – allora la marca si qualifica alla luce di una abitudine interpretativa, che fa sì che gli atti di enunciazione (cioè di produzione di discorso) tendano ad agire in modo simile in circostanze simili.
In parole povere: gli oggetti di Gucci si assomigliano tutti, anche i modelli stessi si assomigliano fra loro. Questa ricorrenza è dovuta al fatto che la marca, in quanto cultura, ha un’identità ben determinata che trasferisce ad ogni umano e non, trasformandoli totalmente. Come scrive Jurij Lotman, il fondatore della semiotica della cultura, un oggetto dell’esperienza viene tradotto dal linguaggio della cultura in un oggetto nuovo, che assume valore in funzione delle regole della cultura di riferimento.
La stessa somiglianza si ravvisa anche fra i consumatori. Indossando i capi brandizzati, fanno parte di una cultura che, modificando la loro percezione del mondo, li induce a interpretarlo e “dirlo” in un senso (pre)determinato. La comunità di consumatori è unita dal fatto di agire secondo le regole associative della marca, alle sue ricorrenze; in questo modo, ne perpetra l’esistenza generando un mondo “su misura”.
Il vero obiettivo del brand è questo: attraverso i consumatori, espandersi fino a inglobare il mondo intero per riprodurlo in accordo alle proprie assiologie.
L’elemento cruciale nel processo di brandizzazione planetaria è la conversione dell’individuo in consumatore. Qui entrano in gioco le leve strategiche del marketing, che hanno il compito di chiedere al pubblico qual è il mondo dei suoi sogni e realizzarlo.
Le webserie rappresentano l’ultima frontiera nelle classiche strategie di branding.
Le webserie: nuove leve del branding
È tempo del brand entertainment e delle webserie.
Infatti, «la pubblicità tabellare classica – ovvero lo spot televisivo – è sempre meno vista dai telespettatori, sia perché la fruizione sulle piattaforme Svod non la prevede basandosi su altri modelli economici, sia perché anche la televisione lineare è spesso fruita con modalità che permettono di saltare gli spot inseriti all’interno dei programmi. Per mostrare l’offerta è dunque fondamentale per un brand “farsi contenuto” esso stesso», sottolinea Axel Fiacco, autore di Unscripted formats – Teoria e pratica dei programmi televisivi globali.
Oggi non si presta attenzione alla pubblicità classica e anzi si cerca di evitarla in tutti i modi (lo zapping o lo skip dell’annuncio su YouTube). Questo è il marketing outbound o “interruption marketing” che, interrompendo ciò che il pubblico sta facendo, lo indispone, perché si interpone fra l’individuo e il suo obiettivo in quel momento. Esso genera un sentimento negativo nei confronti della marca e invece che avvicinarvi l’individuo lo allontana.
Al contrario, l’inbound marketing o “permission marketing” non si introduce a forza nella quotidianità dei potenziali consumatori ma secondo modalità meno invasive, in generale creando contenuti utili per il pubblico e aiutandolo a risolvere eventuali problematiche che già ha.
Fanno parte dell’inbound marketing tutte le strategie che prevedono, per esempio, la creazione di contenuti online come post o video. In questo senso, le webserie possono essere considerate alla stregua di un nuovo contenuto adatto alla nuova generazione di “teledipendenti” che passa molto più tempo incollata agli schermi dei PC, smartphone e tablet.
Il Branded entertainment
Il brand entertainment è diverso dal product placement, che prevede la collocazione di un prodotto all’interno di un film o di programmi TV (per esempio il Caffè Borbone a Forum o le Audi che appaiono nei film Marvel).
Invece, il brand entertainment, detto anche branded content, è un insieme di strategie in base alle quali si creano contenuti differenziati come documentari, docufilm, miniserie, webserie, cortometraggi ma anche eventi live o videogiochi.
Questi contenuti sono gli strumenti con cui il brand traduce la propria personalità in esperienze concrete per il pubblico. Così, gli spettatori possono partecipare in maniera diretta e piacevole ai valori che animano la marca.
Niente a che vedere con la pubblicità tabellare classica: oggi si tratta di creare contenuti appassionanti che concretizzino un immaginario branded. Se il contenuto piace potrebbe diventare virale e la brand awareness ne gioverebbe, dal momento che innescherebbe un processo di buzz marketing.
Il buzz è il ronzio delle api, simile al brusio di voci delle persone coinvolte in una discussione animata. Ovviamente, un contenuto può diventare virale anche in negativo, ed è per questo che i brand investono molte risorse nella realizzazione di contenuti di qualità.
Ouverture Of Something That Never Ended di Gucci
Ouverture Of Something That Never Ended è la mini serie diretta da Alessandro Michele e Gus Van Sant in sette episodi, che promuovono la collezione di Gucci.
Il primo episodio racconta la routine domestica di un’affascinante Silvia Calderoni: l’atmosfera suggestiva e quasi del tutto silenziosa, se non fosse per i rumori e la voce del filosofo Paul B. Preciado.
L’identità del brand permea ogni singolo aspetto di questo episodio, come dei successivi, e non si può che rimanere affascinati dalla realizzazione matura dell’immaginario vintage di Alessandro Michele, il creative director di Gucci dal 2015.
Il secondo episodio è ambientato in un caffè popolato da personaggi insoliti, fra i quali emerge la poetessa e cantautrice inglese Arlo Parks. Il terzo invece segue la protagonista mentre si dirige all’ufficio postale per inviare una cartolina. Il suo vicino di fila è interpretato da Achille Bonito Oliva, docente universitario, critico d’arte e fondatore della Transavanguardia che filosofeggia al telefono con Harry Styles sulla contaminazione delle arti.
Le webserie più chiaccherate
Girls Room di Dove (2020)
Girls Room è una webserie di 5 puntate su Self-Love e Body-positivity creata in collaborazione con la scrittrice Lena Waithe e la regista Tiffany Johnson, e trasmessa ogni giovedì sul canale IGTV di ATTN.
La webserie racconta la vita di cinque migliori amici: Melba, Minnie, Thelma, Gloria e Carlotta, di cui esplora i momenti condividi nei bagni.
Common Thread di Nike (2020)
Nike racconta e celebra le esperienze degli atleti di colore in onore del Black History Month (BHM). Attraverso la webserie Common Thread, il brand mostra che lo sport non ha colore e che anzi rappresenta proprio il filo conduttore che unisce gli atleti in una grande comunità.
Gli episodi della webserie sono pubblicati sul canale IGTV di Nike.
Uk’shona Kwelanga, la prima drama-serie su Whatsapp (2017)
L’ideatore di questa webserie è Sanlam, un operatore finanziario sudafricano specializzato in piani di assicurazione che coprono anche le spese funebri, in collaborazione con lo sceneggiatore Bongi Ndaba. I due autori avevano creato canale su WhatsApp Business a cui ci si poteva iscrivere per seguire dal vivo la preparazione del funerale.
Il futuro del branding e le webserie
La nuova frontiera delle serie tv non è più la TV, e parallelamente la pubblicità non può più essere realizzata secondo il format classico dello spot televisivo.
In questo senso, i brand stanno sperimentando soluzioni creative e nuove strategie narrative per raggiungere il pubblico e convertirlo in mercato utile. Registi e artisti, conosciuti o emergenti, si stanno confrontando con queste nuove tecniche comunicative producendo show innovativi ed audaci, pensati appositamente per il web.
Le webserie sono caratterizzate da una forma di serialità differente rispetto alla serie TV classica, perché gli episodi sono molto più brevi e fruibili su ogni browser, tra l’altro quasi sempre gratuitamente. Come scrive Andrea Curiat per Wired, gli ultimi anni hanno registrato un vero e proprio boom di webserie, e poco importa a questa riflessione che non sempre siano d’alta qualità.
Invece, importante è il fatto che, aumentando la quantità di tempo speso davanti agli schermi, i contenuti web che fruiamo estendono il limite di durata.
“Non si tratta più soltanto di prodotti snack per consumi sporadici. La dieta mediatica dettata dai social incrementa il consumo e cannibalizza l’attenzione”
Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano, Il Sole 24 Ore
Tik Tok starebbe testando i video di tre minuti, e Instagram ha già modificato la durata dei Reels portandola da 15 secondi a 30. Quindi, possiamo assumere di essere entrati in una nuova “era conversazionale”, come ha sostenuto l’Harvard Business Review.
Non possiamo essere certi di ciò che riserverà il futuro. Tuttavia, esistono delle probabilità che il formato della webserie non solo soppianti quello classico, ma anche le tradizionali modalità di comunicazione pubblicitaria.
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